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Ricerca tubercolosi

Il Bacillo di Calmette-Guerin, storicamente utilizzato come vaccino contro la tubercolosi, può ridurre la probabilità di sviluppare una sclerosi multipla definita, in persone con segni iniziali della malattia.
È quanto ha scoperto un team di ricerca dell’Ospedale S. Andrea-Sapienza Università di Roma in collaborazione con la Fondazione Don Carlo Gnocchi di Milano e l’università Federico II di Napoli.
La ricerca, finanziata dal ministero della Salute e dall’Associazione italiana sclerosi multipla, è stata condotta nell’arco di 5 anni su un campione di 73 individui al primo stadio della malattia.
Tutti i partecipanti presentavano il medesimo quadro clinico: avevano subito un primo episodio neurologico, sintomatico della patologia e, sottoposti a risonanza magnetica del cervello, rivelavano una situazione compatibile con la sclerosi multipla. Nella metà di questi casi, noti come “sindromi clinicamente isolate”, si assiste allo sviluppo della malattia neurologia entro due anni, mentre nel 10% dei casi non emerge più alcun disturbo.
I partecipanti alla sperimentazione sono stati suddivisi in due gruppi: a 33 persone è stato somministrato il vaccino con il Bacillo di Calmette-Guerin, a 40 è stato fornito un placebo. Tutti i soggetti hanno effettuato risonanze magnetiche cerebrali mensili per sei mesi e poi hanno cominciato una terapia con interferone beta-1a per un anno. Ogni paziente ha poi assunto il trattamento raccomandato dal neurologo curante. Il follow-up totale, durante il quale è stato valutato il possibile sviluppo di una sclerosi multipla definita, è durato 5 anni.
Dopo sei mesi il gruppo dei “vaccinati” ha mostrato meno segni d’ infiammazione alla RM del cervello (la media cumulativa di lesioni è stata di 3 contro 7); dopo 18 mesi di follow-up il gruppo che aveva ricevuto placebo aveva sviluppato il doppio di ricadute cliniche rispetto ai soggetti vaccinati. Entro la fine del follow-up il 58% dei soggetti vaccinati non ha sviluppato SM definita contro il 30% dei soggetti che avevano assunto placebo.
Il professor Giovanni Ristori, che ha coordinato la ricerca, sottolinea che: “ nonostante siano in programma ulteriori di ricerche per chiarire soprattutto il meccanismo d’azione di questo metodo, tuttavia le caratteristiche di sicurezza, economicità, facilità di utilizzo ne fanno prevedere un non lontano passaggio alla pratica clinica”.
Lo studio è pubblicato su Neurology, la rivista dell’Accademia Americana di Neurologia.

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